Microbiota intestinale e obesita: scoperta la relazione.

Tutta la rilevanza del microbiota


Numerose ricerche legano il microbiota intestinale all’epidemia di obesità oggi diffusa a livello globale e altrettante sono in corso per capire se modificandone la composizione sia possibile prevenire o curare questa patologia.

I dati parlano chiaro: la diffusione dell’obesità ha oggi raggiunto le proporzioni di una vera e propria epidemia, tanto che nel 2016 vi erano nel mondo oltre 650 milioni di persone obese, inclusi milioni di bambini e adolescenti.1 Anche se una sana alimentazione unita al movimento restano i capisaldi della lotta a sovrappeso e obesità, gli esperti stanno concentrando la loro attenzione anche su altri fattori influenti, come ad esempio la composizione del microbiota intestinale. [1]

Gli studi partono da lontano [1] - [2]

Perché puntare proprio sul microbiota intestinale? L’interesse dei ricercatori sulla comunità di microrganismi che popolano l’intestino parte in realtà dall’osservazione che la disbiosi, ovvero uno squilibrio tra le comunità batteriche del microbiota, si associa allo sviluppo di numerose condizioni patologiche, inclusa anche l’obesità. Partendo da questo presupposto, gli esperti hanno cercato di capire se la composizione del microbiota ed eventuali azioni volte a modificarla potessero in effetti dare una mano ai medici nell’arginare l’epidemia di obesità.

I primi studi condotti su modelli sperimentali hanno messo in luce che composizione e funzione del microbiota sono diverse in condizioni di obesità rispetto a condizioni di normopeso. Non solo: trasferendo il microbiota “obeso” in modelli privi di microbiota proprio, è persino possibile “trasmettere” le caratteristiche dell’obesità. [1]

E anche se non sempre i risultati ottenuti in modelli sperimentali possono essere applicati all’uomo, numerosi studi hanno sottolineato la presenza di differenze nel microbiota di persone obese e normopeso con caratteristiche specifiche che variano anche in base all’età. Una ricerca italiana da poco pubblicata su Frontiers in Microbiology spiega, per
esempio, che il microbiota degli adolescenti obesi è diverso da quello dei
coetanei senza problemi di peso, ma anche da quello di persone obese adulte. [2]


Buoni e cattivi [1]

Nonostante i progressi della ricerca, resta molto complesso determinare quali siano i “buoni” e i “cattivi” all’interno dei miliardi di microrganismi che compongono il microbiota intestinale. In linea generale si potrebbe dire che per definire il microbiota sano è necessario guardare sia il numero sia la composizione e le proporzioni degli organismi presenti.

Semplificando al massimo una situazione molto complessa si può affermare che:

  • in caso di obesità la comunità batterica è in genere meno diversificata, ovvero si osserva una diminuzione nel numero delle specie presenti;     

  • in persone obese il rapporto tra Firmicutes e Bacteroidetes – i gruppi di batteri più comuni nel microbiota intestinale – è diverso rispetto a quello delle persone normopeso.

Ma queste indicazioni di massima non riescono a spiegare il possibile ruolo del microbiota nello sviluppo dell’obesità e per questa ragione sono stati portati avanti studi dettagliati su singole specie batteriche, in particolare Lactobacilli e Bifidobatteri.

Queste le conclusioni generali, anche se in molti casi i risultati lasciano spazio al dubbio:

  • I generi Bifidobacterium, Oscillospira, Erwinia, Succinivibrio e Alistipes vengono considerati protettivi perché spesso sono più abbondanti nelle persone normopeso che in quelle obese

  • Enterobacter e Bacteroides sembrano favorire l’obesità e sono predominanti in pazienti obesi.

  • Studi sul genere Lactobacillus hanno portato a risultati molto variabili, ma spesso
    ne mettono in luce le caratteristiche benefiche.

A volte l’impegno non basta [3]

Siamo abituati a pensare che la mancanza di un corretto equilibrio tra calorie assunte e consumate sia la causa principale dell’aumento di peso e del fallimento delle diete. In linea di massima questa affermazione rimane valida, ma studi recenti hanno messo in luce come anche la comunità dei microrganismi intestinali abbia un ruolo di primo piano in tale contesto. Lo dimostra uno anche studio pubblicato sulla rivista Mayo Clinic Proceedings condotto su un gruppo di persone obese e sovrappeso sottoposte a un programma di dieta ed esercizio. Ebbene, il successo nel raggiungere l’obiettivo finale non è dipeso solo dalla buona volontà dei partecipanti, ma anche dalla composizione del loro microbiota intestinale. In particolare, sembra che se il microbiota è più ricco in specie capaci di metabolizzare i carboidrati, la perdita di peso diventa più difficile. Sarebbe quindi utile aggiungere informazioni e azioni personalizzate sul microbiota quando si prescrivono programmi per la perdita di peso.

Dalla teoria alla pratica [1,4], [6]

Allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile metter in campo interventi concreti sui microrganismi intestinali che possano aiutare a prevenire o curare l’obesità. Le stime infatti dicono che si può predire l’obesità partendo dalla composizione del microbiota di un singolo individuo con un’accuratezza che va dal 33% al 64,8%. [1]

Ciò non scoraggia gli esperti, che stanno valutando diversi approcci per utilizzare le potenzialità del microbiota per controllare il peso.

Questi alcuni filoni di ricerca:

  • uso di microrganismi specifici che possono velocizzare la perdita di peso; [4]

  • uso di sostanze di origine vegetale - come prebioticie polifenoli - capaci di “nutrire” i batteri buoni e aumentarne l’efficacia nel controllo del peso; [5]

  • uso di alimenti fermentati, come lo yogurt, naturalmente ricchi di batteri benefici per l’organismo. [6]

Fonti:

[1] Brusaferro A, et al. Nutrients. 2018 Nov 1;10(11).

[2] Del Chierico F, et al. Front Microbiol. 2018 Jun 5;9:1210.

[3] Muñiz Pedrogo DA, et al. Mayo Clin Proc. 2018 Aug;93(8):1104-1110.

[4] Chen YT, et al. Sci Rep. 2018 Apr 18;8(1):6153.

[5] Carrera-Quintanar L, et al. Mediators Inflamm. 2018 Mar 26;2018:9734845.

[6] Morris JA. Med Hypotheses. 2018 May;114:13-17.

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